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L’Antiquarium

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Lungo i corridoi del primo piano del Museo sono presenti vaie vetrine relative al primo allestimento e contenenti materiali ceramici, fittili, metallici e lapidei, per lo più decontestualizzati.

L’Antiquarium 

Lungo i corridoi del primo piano del Museo sono presenti vaie vetrine relative al primo allestimento e contenenti materiali ceramici, fittili, metallici e lapidei, per lo più decontestualizzati.


I materiali ceramici [corridoi A, B e C, vetrine 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12]

In diverse vetrine lungo i corridoi del primo piano, sono esposte numerose ceramiche raggruppate per forme vascolari. Si tratta soprattutto di materiali di produzione locale, talvolta regionale e in rarissimi casi di importazioni dalla Grecia, databili per lo più tra il VI e il III sec. a.C. Il materiale è integro e in buono stato di conservazione e, anche se privo di informazioni riguardanti il contesto di rinvenimento, può essere attribuito nella quasi totalità a corredi funerari. 
I vasi di maggiori dimensioni sono i crateri, da quelli più antichi con le anse a colonnette fino a quelli più recenti a campana con decorazione a fasce, fitomorfa con lunghi rami di foglie o geometrica (fig. 1); meno attestati sono gli esemplari a vernice nera con decorazione sovraddipinta in bianco, rosso e giallo. Il cratere, adoperato per mescolare il vino con l’acqua, è presente nelle tombe maschili insieme a oinochoai o brocche, utilizzate per servire, e skyphoi e coppe per la consumazione della bevanda; tali forme sono realizzate a vernice nera anche sovraddipinta o con decorazione a fasce. 
Numerosi sono gli esemplari di trozzelle, il vaso tipico della civiltà messapica, utilizzato per contenere e trasportare l’acqua, strettamente legato alla sfera femminile e alle attività domestiche. Gli esemplari presenti nell’Antiquarium, sia di grandi dimensioni che miniaturistiche, sono decorati con motivi vegetali talvolta alternati a motivi geometrici (fig. 2).
Strettamente legati al rituale funerario sono le forme di uso comune come i piatti, le lekanai, le coppe e le coppette destinati a contenere le offerte di cibo e per questo deposti all’interno delle tombe indifferentemente dal sesso o dall’età del defunto. 
Alla cura del corpo sono invece riferibili i vasi di piccole dimensioni che contenevano unguenti e olii profumati: le lekythoi a vernice nera, ma anche realizzate nella tecnica a figure rosse, sostituite in età ellenistica dagli unguentari a vernice nera, a fasce e acromi.
Alle sepolture di infanti si possono attribuire i poppatoi a vernice nera, alcuni vasi di piccole dimensioni e i vasi miniaturistici, acromi o a vernice bruna, con anse sormontanti.
Sono inoltre presenti nell’Antiquarium numerosi esemplari di lucerne, ben attestate nei corredi funerari, con evidenti tracce di utilizzo, come l’annerimento del beccuccio. La maggior parte delle lucerne sono a vernice nera o acrome e si possono datare all’età ellenistica, anche se non mancano esemplari di età romana con motivi a perline sulla spalla. 

M.P.Caggia


Le terrecotte e i materiali fittili [corridoi A e B, vetrine 4 e 11; sala 2]
Nelle vetrine dell’Antiquarium è presente un esiguo numero di terrecotte figurate. Si tratta di statuette frammentarie, sia maschili che femminili, ottenute da matrici stanche e con attributi poco leggibili.
    Nella collezione di terrecotte figurate un unicum è costituito da un pinax, una tavoletta di argilla su cui è raffigurata una figura femminile all’interno di un sacello, del quale si riconoscono il frontone con un tondo centrale e due colonne laterali (fig. 3). La figura, in piedi, è accanto a un pilastrino su cui poggia la mano sinistra, mentre con la destra solleva un lembo della veste. Un piccolo erote, in alto a destra, incorona il personaggio femminile, forse Afrodite o una sposa. Si tratta di oggetti molto comuni nei santuari della Magna Grecia che, tra il V e il III sec. a.C., venivano appesi, mediante piccoli fori presenti sul bordo superiore, come ex voto nei recinti sacri o all’interno dei templi. 
Tra le terrecotte spiccano alcuni tintinnabula, sonaglini a forma di animale all’interno dei quali si conserva ancora una pallina di argilla che funge da batacchio. I nostri esemplari, eccezionalmente riconducibili a un preciso contesto di rinvenimento, sono stati recuperati in una tomba scoperta in via Madonna della Luce; raffigurano un infante, lacunoso della testa, accovacciato su un maialino (fig. 4). Il tipo è attestato in Messapia tra il IV e il III sec. a.C. sia in contesti di santuario, come a Oria-Monte Papalucio, che nei corredi delle tombe di bambini. Di particolare interesse è poi la riproduzione fittile di un grappolo d’uva realizzato mediante l’aggiunta di globetti di argilla su un nucleo. Si tratta di oggetti che venivano deposti nei santuari o in tombe in sostituzione delle offerte deperibili.
    Degna di attenzione è anche la matrice di un disco fittile con motivi fitomorfi disposti su due fasce concentriche: quella più esterna con boccioli e fiori di loto e l’altra con palmette alternate a fiori di loto. Nel disco centrale vi è una testa di Gorgone circondata da serpentelli.
Si conservano inoltre numerosi pesi da telaio e fuseruole legati ai lavori della tessitura. Il maggior numero di esemplari è di forma troncopiramidale con motivi decorativi impressi, talvolta semplici fibule o lettere. 

M.P. Caggia

I materiali bronzei [corridoio A, vetrina 2]

In una delle vetrine dell’Antiquarium sono esposti vari monili e strumenti in bronzo. Numerosi sono gli esemplari di fibule, frequentemente attestati nei contesti funerari per la loro funzione di fermagli nell’abbigliamento sia maschile che femminile. Nella maggior parte dei casi si tratta di fibule ad arco semplice, con staffa terminante con elemento conico, che in alcuni casi conservano anche la molla e l’ago; gli esemplari sono databili a età arcaica ed ellenistica. Di particolare interesse è una fibula a tenaglia, così denominata per la caratteristica conformazione di una delle estremità che sostituisce la molla, ben attestata in Italia settentrionale in età romana; nell’esemplare da Ugento sull’arco sono incisi i caratteri IIXII, di significato incerto (fig. 5).
Diversi frammenti bronzei sono riferibili a cinturoni formati da una fascia in lamina metallica, chiusa con ganci fissati su di essa con placche variamente decorate: dalla semplice palmetta alla stilizzazione di figure umane o di animali (fig. 6 e 7, n. 2). Parte integrante dell’armamento indossato dai guerrieri, il cinturone è attestato nelle tombe maschili come oggetto di pregio e costituisce un indizio inequivocabile della ricchezza dell’individuo.
Un chiaro riferimento alle attività produttive che si svolgevano nel centro messapico di Ugento è costituito dagli ami da pesca in bronzo facilmente riconoscibili per la terminazione uncinata dell’asticella (fig. 7, n. 3). Gli esemplari conservati nell’Antiquarium sono confrontabili con quelli rinvenuti a Torre San Giovanni, porto dell’antico centro messapico.
Ancora ad attività di commercio e di scambio rimanda la stadera utilizzata per la pesatura di piccoli carichi. Dell’esemplare si conserva l’asta graduata a sezione quadrata, terminante con un pomello, sulla quale sono incisi i valori ponderali (fig. 7, n. 1). I due anelli posti a una delle estremità dell’asta e fusi insieme a essa, erano utilizzati per la sospensione dei pesi. 

M.P. Caggia

I materiali scultorei [corridoio A, vetrina 3]

Come altre città della Messapia, anche Ugento doveva disporre di arredi statuari, in particolare nelle sue aree sacre e nelle necropoli. Di queste statue restano pochissimi elementi, sopravvissuti alle distruzioni e al reimpiego come materiali da costruzione. 
Ai monumenti funerari di Ozan messapica possono forse ricondursi due manufatti esposti nel Museo. Il primo è una statua femminile in pietra calcarea piuttosto dura e compatta (altezza max. 49 cm), di incerta provenienza, che raffigura una giovane donna con una lunga veste (chitone), trattenuta da cinghie incrociate sul petto (fig. 8): le pieghe sottili e aderenti, le braccia staccate dal corpo e la visione appena di tre quarti sembrano suggerire una figura in movimento. La foggia particolare dell’abito, con le cinghie incrociate, ricorda le Cariatidi di Vaste, statue che introducevano l’ingresso a una tomba monumentale del 300 a.C.: questo confronto suggerisce che anche la figura da Ugento possa essere appartenuta all’arredo di una sepoltura di prestigio di IV o III sec. a.C. La posa dinamica e la resa del panneggio suggeriscono che l’autore della statua possa essere uno scultore formatosi in ambiente tarantino.
Ipoteticamente sempre a un monumento funerario si può assegnare una piccola testa giovanile (altezza max. 18 cm), in pietra leccese, dai grandi occhi spalancati, con spesse palpebre e inseriti profondamente sotto le arcate sopraccigliari, rinvenuta nel 1970 lungo via Salentina, nel Borgo alle pendici orientali del centro storico di Ugento. Elemento distintivo della testa sono i capelli in lunghe ciocche gonfie e sinuose che incorniciano il volto, su cui si imposta un diadema tubolare (fig. 9). Sebbene lo stato di conservazione impedisca una valutazione precisa, si potrebbe ipotizzare una figura a tutto tondo di giovane, originariamente collocata in una tomba a tempietto (naiskos). Tutti gli elementi distintivi della testa si ritrovano nella scultura funeraria di Taranto, come il diadema tubolare, attributo di giovani defunti, dèi ed eroi, i capelli gonfi in riccioli, attestati in raffigurazioni tarantine di guerrieri ed eroi, mentre l’enfasi sullo sguardo si ricollega alle formule della produzione tardo-classica dello scultore Skopas di Paro (ca. 375-330 a.C.). Infine, la capigliatura e il diadema potrebbero costituire echi delle iconografie dei re ellenistici, che si ritrovano a Taranto nella tomba monumentale di Via Umbria (prima metà III sec. a.C.). Anche in questo caso, dunque, è possibile pensare a maestranze collegate alle botteghe attive a Taranto tra IV e III sec. a.C.
Queste sculture, insieme a una testa di giovane dalla Collezione Colosso e a un piccolo basamento di sema con scene di battaglia al Museo Archeologico Nazionale di Taranto, sempre da Ugento, dimostrano la ricezione locale di modelli ideologici e costumi funerari propri delle classi abbienti della colonia greca di Taranto. 
Un lungo lasso di tempo separa queste opere da un volto maschile in marmo bianco, conservato per una minima parte, sarebbe stato rinvenuto nel 1968 all’interno di una tomba non meglio specificata in località Santa Croce, nella zona pianeggiante a sud-ovest della collina che ospita il centro storico di Ugento. Nonostante le sue ridotte dimensioni (altezza max. 26,5 cm), possiamo ricondurre questa testa a una statua ritratto della tarda età repubblicana: i capelli in ciocche sottoli su due registri formano una alta frangia (fig. 10¬). Saggezza, fermezza e autocontrollo dell’età matura sono indicati dalle rughe sulla fronte, alla radice del naso e ai lati della bocca serrata e con labbra carnose, così come dalla fissità dei grandi occhi, definiti in modo poco naturalistico dalle palpebre a rilievo che sporgono incongruamente all’angolo esterno. Capigliatura, età matura e severità riconducono la testa di Ugento alla ritrattistica romana del I sec. a.C., con confronti tra gli anni 70 e la metà del secolo. La statua, forse a figura intera o busto, può essere immaginata tanto in uno spazio pubblico della città quanto in un contesto funerario: può forse attribuirsi ad uno dei notabili della Uzentum tardo-repubblicana, che mostra di aderire alle convenzioni e ai valori delle élites romane. 

T. Ismaelli