Le Tombe/aree funerarie di VI e V sec a.C
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Le tombe di VI-V sec. a.C.
La principale necropoli di epoca arcaica e classica, riferibile all’abitato messapico posto sulla collina di Ugento
La principale necropoli di epoca arcaica e classica, riferibile all’abitato messapico posto sulla collina di Ugento, era ubicata nell’area pianeggiante situata alle sue immediate pendici orientali, nell’area del Borgo lungo la via Salentina, dove nel 1970 è stata rinvenuta la monumentale “Tomba dell’Atleta” con struttura a semicamera e decorazione interna dipinta (fig. 1, n. 8); essa conteneva più deposizioni databili tra la fine del VI e gli inizi IV sec. a.C., accompagnate da ricchi corredi comprendenti produzioni messapiche e materiali ceramici e bronzei di importazione greca e magno-greca, che ne evidenziano l’appartenenza a una ricca famiglia dell’aristocrazia ugentina. Quest’area funeraria, a cui apparteneva anche una tomba a cassone di V sec. a.C. messa in luce nel 1985 (fig. 1, n. 7), si trovava in prossimità dell’incrocio di due importanti assi viari, uno orientato all’incirca in senso nord-sud e ricalcato da via Salentina e l’altro che scendeva dalla serra e proseguiva verso sud-est. Alla medesima necropoli, oltre alla “Tomba dell’Atleta”, apparteneva anche un’altra tomba monumentale, sempre a semicamera e anch’essa con decorazione interna dipinta, forse coeva, rinvenuta nell’Ottocento circa 250 m più a nord, in prossimità di via Madonna della Luce (fig. 1, n. 10). Inoltre, poco più a est della “Tomba dell’Atleta”, in località Armino, presso l’incrocio tra via Casarano e via D’Azeglio (fig. 1, n. 9), nel 1979 è stata rinvenuta una tomba della seconda metà del VI sec. a.C. che ha restituito un cratere messapico con anse a fungo, una coppetta monoansata a vernice bruna e una coppa ionica tipo B2 di probabile produzione magno-greca, forse metapotina.
A parte una tomba di epoca classica segnalata sulla collina, subito a nord del centro storico, lungo via Colosso (fig. 1, n. 5), altre aree funerarie si trovavano in zone più periferiche e potevano essere pertinenti anche a nuclei insediativi differenti da quello che occupava la sommità della collina, a oggi però non attestati archeologicamente. Una necropoli era nel settore nord-occidentale del rilievo e alle sue pendici, dove una piccola tomba a sarcofago databile alla prima metà del V sec. a.C., recante una trozzella di ridotte dimensioni e due fibule in bronzo, è stata messa in luce in via Indipendenza (fig. 1, n. 1), mentre un nucleo di tombe a cassone e a sarcofago con corredi databili tra il V e il III sec. a.C. è stato scoperto in via Aghelberto del Balzo (fig. 1, n. 3); tra queste ultime, una sepoltura datata al secondo quarto del V sec. a.C., riferibile a un eminente personaggio dell’aristocrazia ugentina, ha restituito un cratere a colonnette attico a figure rosse insieme a un colino e un’oinochoe di bronzo prodotti da officine apule.
Topograficamente intermedia tra la tomba di via Indipendenza e l’area funeraria di via Aghelberto del Balzo è una sepoltura a sarcofago individuata in via F.lli Molle, poco a ovest dell’incrocio con via Alighieri (fig. 1, n. 2), che ha restituito una moneta di Sibari della seconda metà del VI sec. a.C., questa forse pertinente a una prima deposizione, precedente a quella a cui apparteneva il resto del corredo recuperato, databile a epoca alto-ellenistica.
Ulteriori aree funerarie, in uso dal VI-V sec. a.C. fino a tutta l’epoca ellenistica, si trovavano nei territori pianeggianti posti alle pendici sud-orientali e meridionali della collina, in località Vigne Vecchie (fig. 1, n. 4) e nella zona di piazza R. Moro (fig. 1, n. 6), dove una tomba ha restituito un corredo databile tra la fine del V e la prima metà del IV sec. a.C., costituito da un cratere a colonnette di produzione indigena e da una serie di vasi miniaturistici. Altre ancora sono documentate alle pendici nord-orientali del rilievo, lungo via Madonna della Luce (fig. 1, n. 11) e ancora più a nord, in località S. Antonio (fig. 1, n. 12), nell’ambito di una vasta necropoli di epoca ellenistica che si estende fino alla limitrofa località Crocefisso; in quest’ultima, sono state individuate fosse contenenti possibili riduzioni di V-IV sec. a.C. e una tomba a fossa che ha restituito un corredo della seconda metà del VI sec. a.C., costituito da un’olla con anse sormontanti decorate da 4 piccole bugne, una coppetta dipinta con vernice bruna e da tre fibule di bronzo.
G. Scardozzi
La “Tomba dell’Atleta” di via Salentina [allestimento al centro del chiostro]
La cd. “Tomba dell’Atleta” è una delle sepolture più monumentali rinvenute nella Messapia che, per le caratteristiche strutturali, le dimensioni e la ricchezza del corredo funerario, rappresenta un unicum tra le tombe conosciute di Ugento. Essa è stata rinvenuta il 13 luglio 1970, lungo il lato orientale della via Salentina, all’interno del Borgo posto alle pendici orientali del centro storico.
Si tratta di una tomba a semicamera (m 2,95 x 1,10 x 0,80) realizzata con grande accuratezza in tutti i suoi particolari e composta da lastroni di carparo, comprendenti basamento (m 3,90 x 2,18 x 32), due fiancate laterali con relative testate, composte da sei grandi blocchi, e due lastre di copertura a doppio spiovente giustapposte, che consentivano la riapertura della sepoltura per le deposizioni successive. Sul fondo è presente un incavo per la deposizione (m 2,75 x 0,97 x 0,10), nel quale doveva essere alloggiata una kline lignea con assi fissati da grossi chiodi in ferro.
Le pareti interne sono rivestite da un’elegante decorazione dipinta, apposta su uno strato di intonaco bianco, composta da motivi lineari in rosso e blu, ottenuti utilizzando ocre e blu egizio: in basso vi sono un’alta fascia rossa e una blu, in alto sottili linee rosse parallele, all’interno delle quali si dispongono delle bende rosse con estremità arrotondate, dalle quali pendono tre sottili nastri ondulati. Al di sotto della linea delle bende, è presente una serie di fori per il fissaggio di lunghi chiodi in ferro ai quali dovevano essere sospesi alcuni oggetti del corredo, come piccoli vasi, utensili e forse corone o ghirlande di fiori. Anche i due lastroni di copertura presentavano una decorazione dipinta sulla faccia interna, mal conservata: su uno vi erano un piccolo cespuglio blu, su cui era poggiata una colomba o una tortora in rosso, e due oggetti sospesi (una trozzella dalle forme arcaiche e un aryballos globulare dipinti in rosso e tenuti da nastri blu); sull’altro erano raffigurati un gallo dipinto in rosso e blu, posto al di sopra di una benda rossa dalle estremità arrotondate (dalle quali pendevano tre nastri sottili ondulati), e un cespuglio blu (fig. 2).
La ricomposizione del corredo funerario è alquanto complessa, dal momento che la tomba ha restituito materiali appartenenti a più deposizioni successive (un maschio adulto di circa 30 anni, una donna adulta, una ragazza di circa 15 anni e un infante), che coprono un arco cronologico molto ampio, compreso tra la fine del VI e i primi decenni del IV sec. a.C. La suppellettile include vasi in bronzo di produzione greca, magnogreca ed etrusca, ceramiche attiche e protoitaliote (a figure rosse e a vernice nera), nonché vasi di tradizione messapica e altri manufatti di pregio e di ornamento personale.
La prima deposizione, per la quale è stata costruita questa grande sepoltura, appartiene all’individuo maschile adulto e si data intorno al 510-490 a.C. Alcuni oggetti che richiamano i valori connessi al mondo della palestra, quali la coppia di strigili in bronzo (fig. 3, n. 1) e un alabastron in alabastro importato dall’Egitto (fig. 3, n. 2), connotano il defunto come un personaggio di alto rango, probabilmente dedito ad attività atletiche. Questa associazione riprende uno schema rappresentativo funerario caratteristico dell’ambiente tarantino di VI e V sec. a.C., per cui la partecipazione alla vita sportiva cittadina costituiva un segno distintivo della classe aristocratica. Tuttavia, l’alabastron rappresenta un esotico contenitore di rare sostanze profumate importate, un vero e proprio bene di lusso, il cui pregio è conferito dal materiale in cui è realizzato e dall’abilità degli artigiani impegnati nella produzione di tali manufatti. La sua presenza contribuisce a caratterizzare attività, agi e svaghi raffinati di un mondo elitario e restituisce un’immagine di prestigio del defunto e delle sue elevate disponibilità economiche, trasmessa anche dall’insieme dei manufatti di grande pregio che compongono il corredo. Tra questi spiccano soprattutto i vasi in bronzo di rara bellezza e raffinatezza, databili tra la seconda metà del VI e gli inizi del V sec. a.C., che compongono un complesso servizio per il simposio, quali un’oinochoe di produzione corinzia con l’ansa costituita da una figura virile nuda che poggia i piedi su una grande testa di Gorgone (fig. 4, n. 1), un grande bacino su base tripode a zampe leonine con anse configurate a leoni accovacciati e un’olpe con ansa desinente a protome di cigno. L’importanza del defunto è sottolineata ulteriormente dalla presenza di altri due pregevoli vasi in bronzo importati dalla Grecia, quali un’oinochoe rodia a bocca trilobata (fig. 4, n. 2), contraddistinta da un’ansa di complessa fattura, e un’hydria corinzia, con l’ansa verticale decorata da una splendida protome leonina che si affaccia sulla bocca del vaso (fig. 4, n. 3), interpretata come probabile premio ricevuto per una gara atletica. Essi sono più antichi rispetto al contesto e sono riferibili al primo decennio e al secondo venticinquennio del VI sec. a.C., quasi certamente beni di prestigio custoditi dalla famiglia e tramandati per generazioni, ossia una sorta di eredità, come dimostrano i segni di usura presenti sulla sommità delle anse che indicano un uso prolungato di questi vasi prima di essere deposti nella tomba. Questi preziosi manufatti sono accompagnati anche da ceramiche di produzione greca e magnogreca che comprendono due lekanides attiche a vernice nera (fig. 3, nn. 3-4), un’hydria acroma di probabile produzione tarantina (fig. 3, n. 5) e una piccola lekythos con una fine decorazione lineare attribuibile a officine coloniali (fig. 3, n. 6).
Alla prima fase di utilizzo della tomba sono probabilmente da riferire anche i resti scheletrici di una donna adulta, forse in precedenza sepolta altrove, che furono deposti in riduzione in un angolo della monumentale struttura funeraria. Al suo corredo appartengono due vasi peculiari del mondo muliebre, come il kalathos, caratterizzato da una fitta decorazione geometrica e floreale bicroma (fig. 5, n. 1), e la trozzella, la cui forma connota le tombe femminili di donne adulte, dal particolare status sociale (fig. 5, n. 2). Di eccezionale rilievo sono inoltre una serie di frammenti relativi a una lamina d’argento dorato decorata a sbalzo, su alcuni dei quali è stata riconosciuta la rappresentazione di un kymation ionico e di due ali, riferibili alla raffigurazione di una divinità femminile alata. Essi possono essere pertinenti a un elaborato copricapo (con ogni probabilità un polos), attribuibili a una raffinata produzione tarantina, attestati in diverse tombe aristocratiche di Taranto e Metaponto (fig. 6). Si tratta di un oggetto molto raro, segno esplicito del rilevante ruolo sociale della defunta, indossato da figure femminili appartenenti a potenti e ricchi gruppi gentilizi, che forse hanno ricoperto anche funzioni sacerdotali nei culti cittadini e che venivano scelte tra le rappresentanti delle più nobili famiglie. Alla deposizione può essere associata anche una fibula frammentaria in bronzo del tipo ad arco semplice, con bottone conico terminale, che ricorre frequentemente nei corredi messapici e anche a Ugento.
La più recente fase di utilizzo della tomba, successiva di circa tre generazioni rispetto all’Atleta, può essere collocata tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., con la maggior parte del corredo che probabilmente era appesa ai chiodi infissi nelle pareti della tomba, non per una mancanza di spazio ma per un richiamo simbolico alla vita domestica che trova riscontri in ambiente greco ed etrusco. Si tratta infatti della deposizione di una giovane donna anch’essa di rango elevato, accompagnata da un ricco gruppo di ornamenti personali composto da dieci fibule in argento dorato del tipo ad arco semplice a foglia, una delle quali riporta un finissimo motivo fitomorfo composto da fiori di loto, palmette e foglie cuoriformi, probabilmente di produzione campana. Si tratta di fibule di esclusiva pertinenza femminile, associate in più coppie nei corredi funerari, che escludono l’attribuzione di questa più recente deposizione a un ragazzo di circa 15 anni come è stato ipotizzato in passato.
Il ricco corredo vascolare che accompagna questa sepoltura si articola intorno a due gruppi di oggetti: il primo consiste in un servizio da vino, mentre il secondo comprende ceramiche che alludono chiaramente all’universo muliebre. Tra gli oggetti del primo spicca un pregiato set di vasi bronzei per il simposio, composto da un colino, un’olpe piriforme di produzione etrusca, una patera-piatto, altre due patere con manico (fig. 7, nn. 1-2) e una pregevole situla realizzata da officine tarantine (fig. 7, n. 3), manufatto quest’ultimo connotante le sepolture eminenti della Messapia. Ampio è il corredo ceramico vascolare che include vasi di produzione attica e italiota a figure rosse e vasi a vernice nera, a cui sono associate altre forme realizzate in ambito indigeno. Tra le importazioni figurate greche spiccano una lekythos attica e un’hydria protoitaliota, funzionali a contenere sostanze profumate e a trasportare l’acqua. La lekythos, in particolare, attribuibile al Pittore dell’Ancella del Louvre (430-420 a.C.), reca la rappresentazione di una fanciulla riccamente abbigliata che si dirige con le braccia protese verso un motivo floreale a palmetta (fig. 8, n. 2). Il gruppo dei vasi protoitalioti comprende invece una coppia di skyphoi, uno con la raffigurazione di giovani efebi (fig. 8, n. 3), l’altro con una civetta tra rami di ulivo, riferibili agli inizi del IV sec. a.C. e probabilmente ascrivibili a una produzione lucana.
L’esemplare più prestigioso tra le ceramiche protoitaliote è certamente un’hydria protoapula su cui è rappresentata una scena di difficile lettura, in cui una giovane donna adorna di gioielli è rivolta verso una figura maschile nuda che stringe le stringe con una mano il braccio (fig. 8, n. 1); si tratta forse le nozze di Sisifo e Anticleia o di un raro episodio del mito di Antigone e Creonte, con l’eroina condotta da due guardie alla presenza del re. Il vaso, databile al 430-400 a.C., è stato realizzato nella bottega del Pittore della Danzatrice di Berlino, uno dei più importanti ceramografi tarantini attivi nella più antica produzione della ceramica apula. Si tratta di un oggetto davvero significativo, se si considera che in questa fase cronologica e fino alla fine del V sec. a.C. in Messapia le importazioni di vasi protoitalioti sono costituite soprattutto da crateri di produzione protolucana, mentre le ceramiche protoapule risultano piuttosto rare. Pertanto, questo prezioso manufatto costituisce uno strumento di differenziazione sociale per questa giovane figura femminile “emergente”, forse morta prima del matrimonio, dal momento che appartiene a una tipologia di vasi utilizzati per contraddistinguere esclusivamente le sepolture femminili messapiche di rango particolarmente elevato, accuratamente selezionati tenendo conto della forma, ma anche delle scene figurate dal profondo significato simbolico; appare infatti chiara la volontà di esaltare con tale scena i valori della stirpe e della famiglia attraverso i legami affettivi, intesi come “vincolo di sangue” (l’amore di Antigone per il fratello Polinice) o come frutto della seduzione (l’unione di Sisifo e Anticleia dalla quale nasce Odisseo).
Piuttosto cospicuo è il complesso dei vasi a vernice nera, per la maggior parte di produzione coloniale (tarantina e metapontina), ma anche ateniese, con forme dedicate alla sfera della mensa, tra le quali figurano un’oinochoe trilobata e una coppia di oinochoai a bocca rotonda con corpo decorato da baccellature (fig. 8, n. 4). Tra questi vasi è presente anche un articolato set di contenitori per sostanze e unguenti profumati, dedicato alla toilette femminile, comprendente diverse lekythoi ariballiche (fig. 8, n. 5), a cui si aggiungono un’elegante prochoe (fig. 8, n. 6), tre epichysis e una lucerna. Allo stesso contesto va associata anche una coppia di aryballoi acromi (fig. 8, n. 7), contraddistinti da linee incise sul corpo, forse di produzione locale, anch’essi utilizzati per contenere preziosi unguenti e olî profumati.
La tomba doveva ospitare, con ogni probabilità, un’ulteriore deposizione riferibile a un infante (non individuata durante lo scavo forse a causa della facile consunzione di tali resti), come dimostra la presenza di alcuni vasi di piccole dimensioni e forme particolari. Tra questi spicca una piccola hydria attica a figure rosse (fig. 9, n. 1), sulla quale sono rappresentate due giovani fanciulle poste ai lati di un kalathos, databile al 430-420 a.C. Anche in questa circostanza, è stata accuratamente selezionata una forma e una raffigurazione che sembrano suggerire il sesso femminile del piccolo defunto. Ma gli indicatori fondamentali che confermano la presenza di una deposizione infantile sono soprattutto i due piccoli vasi-poppatoi a vernice nera, rappresentati dal guttus/baby-feeder (fig. 9, nn. 2-3). Del medesimo contesto fanno parte anche altri vasi miniaturistici a vernice nera, quali un’hydria, una lekythos ariballica, entrambe decorate da finissime baccellature, e un’elegantissima pisside con coperchio di produzione metapontina (fig. 9, nn. 4-6).
Infine, al di sopra dei lastroni di copertura della tomba, con probabile funzione di segnacolo, era collocata un’anfora protoitaliota di tipo panatenaico a figure rosse, rinvenuta in frammenti, sulla quale era rappresentata una scena di komos dionisiaco. Attribuita alla produzione metapontina del Gruppo Intermedio, essa è stata deposta dopo la chiusura definitiva della sepoltura, avvenuta tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., come conferma la cronologia del vaso.
Nel complesso, la “Tomba dell’Atleta”, con la sua struttura monumentale, la decorazione pittorica e il ricco corredo funerario, contraddistinto da bronzi e ceramiche importati dalla Grecia, da Taranto e dall’Etruria, mostra chiaramente i segni dell’acquisizione di ideologie elleniche da parte dei membri di rango delle famiglie gentilizie ugentine. Si pensi ai particolari accorgimenti tecnici adottati sulla struttura architettonica o alla decorazione parietale che per modalità di esecuzione e motivi pittorici richiamano le tombe degli atleti tarantini. Unica nel suo genere è anche la presenza della decorazione pittorica sulla faccia interna delle lastre di copertura, che trova confronti solo con la “Tomba del Tuffatore” di Poseidonia. Altrettanto significativa è la presenza di raffinati vasi in bronzo di produzione peloponnesiaca e tarantina, che testimoniano contatti diretti e stretti col mondo greco e con quello magnogreco. A essi si aggiungono il pregiato alabastron importato dall’Egitto e gli strigili che hanno suggerito di riconoscere nel committente e proprietario della tomba un individuo maschile adulto, membro dell’aristocrazia messapica ugentina, profondamente permeato delle ideologie relative alla paideia ellenica, legate al mondo delle gare atletiche.
Tuttavia, deve essere sottolineato che questi motivi e temi figurativi greci sono stati recepiti a Ugento e riproposti in una chiave di lettura completamente diversa, essendo stati adattati alle ideologie “messapiche” e a specifiche esigenze di autorappresentazione. Si pensi soprattutto alla connotazione “familiare” della tomba, nella quale sono stati sepolti più individui (di sesso ed età diversi) nell’arco di un secolo, secondo una concezione funeraria ampiamente nota in ambito messapico. Una particolare attenzione merita la presenza della trozzella tra i materiali più antichi del corredo funerario, che, come si è visto, si ritrova dipinta anche su uno dei lastroni della copertura. Gli studi più recenti sul rituale funerario e sui corredi messapici hanno ormai accertato il valore oggettivo e simbolico della trozzella che connota le tombe femminili di donne adulte, in questo caso anche di elevato rango sociale, identificabili con vere e proprie “matrone”. In tale prospettiva, il programma iconografico espresso dall’associazione gallo/aryballos, da un lato, e tortorella (o colomba)/trozzella, dall’altro, nella faccia interna del coperchio, potrebbe suggerire una pianificazione della decorazione pittorica influenzata dalla diversificazione dei generi maschile e femminile. Si tratta di una distinzione che ha come proposito la celebrazione del ruolo svolto dai “capostipiti” del gruppo familiare aristocratico proprietario della tomba, con la ricezione di temi e ideologie greche; tuttavia, essi sono rielaborati e adeguati alle categorie mentali e ai valori propri della società messapica, dove la figura e il ruolo della donna sembrano presentare caratteri peculiari e distintivi rispetto al mondo greco.
A.C. Montanaro
Lo stato di conservazione delle pitture delle pareti e del coperchio e la sistemazione degli oggetti di corredo esposti nelle teche del Museo non consentono ai visitatori una lettura immediata e unitaria della monumentalità della “Tomba dell’Atleta” e della ricchezza dei materiali che essa conteneva (fig. 10). Per queste ragioni è stato realizzato uno studio ricostruttivo delle due principali fasi di utilizzo del monumento funerario (la prima con il cd. Atleta e la donna adulta in riduzione, la seconda con la giovane donna e l’infante), in grado di offrire una visione organica delle deposizioni e dei corredi a esse associati.
In una prima fase si è proceduto con un rilievo fotogrammetrico 3D della struttura, da utilizzare come base per il processo ricostruttivo dell’intera architettura del monumento, che è stato effettuato con tecniche di handmade modeling per l’integrazione delle porzioni mancanti dei singoli lastroni e per la ricostruzione di quelli perduti pertinenti al fondo della semicamera. Contestualmente, tramite software di matte painting, sono state elaborate le ricostruzioni cromatiche dei motivi decorativi interni, sia geometrici che figurativi, le cui tracce sono ancora in parte leggibili sugli affreschi che ricoprono le superfici interne dei lastroni delle fiancate e della copertura.
Le medesime attività (rilievo fotogrammetrico 3D integrato con tecniche di handmade modeling) sono state quindi riproposte per tutti i singoli oggetti di corredo, in modo da poter disporre della loro copia digitale e procedere all’allestimento virtuale della prima fase di utilizzo della tomba (figg. 11-12): un giovane atleta, avvolto in un sudario e adagiato su un letto funerario ligneo, accompagnato da un ricco corredo in parte deposto sul fondo della semicamera e in parte appeso ai chiodi sulle pareti. In un angolo della tomba sono anche visibili i resti scheletrici in riduzione della donna adulta, tra i cui materiali di corredo figura anche un copricapo (polos?) in lamine d’argento dorato e decorato a sbalzo, che è stato modellato a partire dai frammenti rinvenuti.
La seconda fase di utilizzo (figg. 13-14) riguarda invece, come si è visto, la deposizione di una giovane donna e di un infante, che nella ricostruzione appiano anch’essi entrambi sul letto funebre e avvolti in sudari. Agli oggetti di corredo pertinenti alla fase più antica, rimasti sostanzialmente invariati nella loro collocazione, sono stati aggiunti i materiali ceramici e bronzei che accompagnavano le nuove deposizioni; in questa fase, alla riduzione della donna adulta si aggiunge quella dei resti dell’atleta, posta in un altro angolo della semicamera.
Pertanto, le visualizzazioni grafiche 3D prodotte sintetizzano i risultati delle ricerche sin qui acquisiti e offrono una lettura di più facile e immediata del monumento funerario e delle dinamiche di utilizzo che hanno interessato la tomba per quasi un secolo.
I. Ferrari, F. Giuri
La tomba di località Armino [vetrina 1]
La tomba è stata rinvenuta nel 1979 in località Armino, in un’area situata nei pressi dell’incrocio tra via Casarano e via D’Azeglio, probabilmente sede di una più vasta necropoli di età arcaica destinata a ospitare diverse sepolture appartenenti a personaggi di rango particolarmente elevato. Il corredo (fig. 15), che può essere collocato nella seconda metà del VI sec. a.C., era costituito da pochi oggetti: un cratere messapico con anse a fungo e corpo globulare, a decorazione bicroma con motivi geometrici e inquadrabile nella fase del Subgeometrico Messapico II (550-400 a.C.), una coppetta monoansata, parzialmente verniciata di bruno, e una coppa di tipo ionico probabilmente prodotta in Magna Grecia, forse a Metaponto. L’associazione tra il cratere con anse a fungo e la coppa per bere d’importazione sembra suggerire la pertinenza della tomba a un individuo maschile di rango elevato, come è stato riscontrato anche in altre sepolture coeve rinvenute in diversi centri messapici (Alezio, Soleto, Vaste, Rudiae, San Cesario di Lecce, Cavallino, Muro Tenente, Mesagne e Oria).
A.C. Montanaro
La tomba di via Indipendenza [vetrina 1]
La sepoltura è stata rinvenuta nel 1989, in un’area situata presso l’incrocio tra via Indipendenza e via Armida, e consiste in una piccola tomba a sarcofago (cm 80 x 50) contenente i resti di un giovane inumato. Essa ha restituito un corredo molto sobrio (fig. 16), inquadrabile nella prima metà del V sec. a.C., composto da una trozzella di piccole dimensioni, con decorazione geometrica a fasce e motivi a linee spezzate in rosso, e da due fibule in bronzo, una a doppio arco, l’altra ad arco semplice e con lunga staffa con bottone terminale conico. Quest’ultima costituisce un ornamento tipico delle sepolture di questa fase ed è presente nella maggior parte delle necropoli messapiche. La presenza della trozzella (attribuita al “Geometric Zigzag Group”) indica l’appartenenza della sepoltura a una donna adulta di rango elevato, come è stato accertato dagli studi più recenti che confermano la presenza della medesima forma anche in altri analoghi corredi funerari femminili della Messapia.
A.C. Montanaro
La Tomba 2 di località S. Antonio [vetrina 1]
La tomba è stata rinvenuta nel 1986 all’interno della necropoli di località S. Antonio, in uso prevalentemente tra la metà del IV e il III sec. a.C., ed è l’unica sepoltura di epoca arcaica (i corredi di epoca ellenistica sono esposti al primo piano). È costituita da una cassa litica (cm 90 x 60) e conteneva i resti di un inumato in posizione rannicchiata, con cranio a nord-ovest. Il corredo (fig. 17), riferibile alla seconda metà del VI sec. a.C., è costituito da un’olla con decorazione geometrica e anse sormontanti, con due coppie di piccole bugne applicate alla sommità, da una coppetta monoansata a vernice bruna e da tre fibule di bronzo.
M.P. Caggia
La tomba di via Aghelberto del Balzo [vetrina 2]
La tomba è stata scoperta nel 1969, in un’area a destinazione funeraria (comprendente numerose sepolture a fossa, a cassone e a sarcofago) in uso per un lungo periodo di tempo tra il V e il III sec. a.C. Essa ha restituito un corredo composto da pochi oggetti, tuttavia piuttosto significativi, che può essere inquadrato nel corso del secondo venticinquennio del V sec. a.C. (fig. 18): esso comprende un cratere a colonnette attico a figure rosse, attribuibile a uno dei ceramografi appartenenti alla cerchia dei Manieristi Tardi (475-450 a.C.), un’oinochoe in bronzo con decorazione incisa e a sbalzo e un colino, sempre in bronzo, con manico a testa di oca. Entrambi i manufatti metallici sono prodotti in officine apule e sono strettamente legati al consumo del vino, così come il cratere, che costituiva l’elemento centrale del servizio per il simposio. Sul lato principale del vaso è raffigurato un giovane su un cavallo da corsa, con kentron e redini strette nelle mani, a cui si avvicina una Nike che afferra il morso equino; sul lato secondario sono tre giovani ammantati. La scena del lato principale sembra riferirsi in maniera evidente alla vittoria di una gara ippica, dalla quale nasce il risalto che il pittore vuole dare all’immagine vigorosa del cavallo da corsa; la posizione volutamente centrale assegnata al morso equino sembra alludere al prestigioso ruolo di cavaliere rivestito dal defunto. I pregevoli manufatti rinvenuti nella tomba attestano quindi l’appartenenza della sepoltura a un personaggio maschile di rango particolarmente elevato, documentando l’emergere a Ugento, in età arcaica, di una classe aristocratica in grado di acquisire beni di prestigio importati dalla Grecia, dalla Magna Grecia e dall’Etruria, come evidenziato anche dalla “Tomba dell’Atleta”.
A.C. Montanaro