I materiali da Torre San Giovanni
Retour I materiali da Torre San Giovanni

I materiali da Torre San Giovanni
A Torre San Giovanni, che fin dall’epoca arcaica ha costituito lo scalo portuale di Ugento, da cui dista circa 5 km in direzione sud-ovest, sono dedicate tre differenti esposizioni di materiali.
I materiali da Torre San Giovanni [sale 6, 7, 11 e 12; corridoio B, vetrine 13 e 14]
A Torre San Giovanni, che fin dall’epoca arcaica ha costituito lo scalo portuale di Ugento, da cui dista circa 5 km in direzione sud-ovest, sono dedicate tre differenti esposizioni di materiali. La prima riguarda quelli provenienti dallo scavo eseguito nel 1975-1976 dall’Università del Salento in collaborazione con l’École Française de Rome, la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Università Libera di Bruxelles, in prossimità del faro che insiste sulla torre costiera cinquecentesca che dà nome al sito. La seconda comprende invece 12 corredi recuperati nel 2014-2016 dalla Soprintendenza Archeologica nella necropoli messa in luce poco a nord-ovest della torre stessa. Sono inoltre esposti alcuni materiali fittili e lapidei rinvenuti nello specchio di mare antistante Torre San Giovanni, caratterizzato dalla presenza delle cd. Secche di Ugento, sulle quali sono stati rinvenuti vari relitti di epoca tardo-repubblicana e primo-imperiale, oltre che successivi.
Le indagini archeologiche del 1975-1976 hanno documentato una frequentazione dell’area portuale dall’età arcaica fino all’epoca medievale e nelle sale 6 e 7 è esposta una selezione di materiali ceramici e metallici che documentano le attività commerciali che si svolgevano nel porto di Ugento; a essi si aggiungono anche oggetti di vita quotidiana, come numerosi ami da pesca. Nella seconda metà del IV sec. a.C. il sito di Torre San Giovanni, già sviluppatosi a partire almeno dal VI-V sec. a.C., viene fortificato con la costruzione di un muro a doppia cortina di blocchi ed emplekton di pietre e terra, largo m 3,50, messo in luce per una lunghezza di circa 25 m e conservato per un’altezza di 2,5 m; a questo sono poi addossate altre strutture che arrivano fino alla fine del I sec. a.C. - inizi del I sec. d.C., come evidenziato anche da nuove indagini condotte nell’area nel 2014-2016 (fig. 1). Nel periodo compreso tra la seconda metà del IV e la prima metà del III sec. a.C., le numerose anfore rinvenute documentano il ruolo svolto da Torre San Giovanni negli scambi tra Adriatico e Ionio; in particolare, i rinvenimenti attestano importazioni di vino proveniente sia dalla Grecia, soprattutto da Corfù, sia dalla Sicilia e dalla Magna Grecia, ma non mancano anche contenitori realizzati nelle fornaci documentate nel territorio di Ugento, come quelli prodotti nell’officina di un certo Pullius, scoperta presso Felline, circa 3 km a nord-ovest di Ugento; queste ultime (anfore vinarie Dressel 2-4 e anfore con “anse a nastro” ovoidi affini alle brindisine, probabilmente olearie) sono protagoniste di flussi commerciali piuttosto consistenti e risultano prevalentemente documentate lungo le coste dello Ionio (nella zona di produzione e nel Golfo di Taranto) e, in misura minore, sulle coste adriatiche meridionali, sul versante tirrenico della penisola e nella Gallia interna. Alle attività commerciali che si svolgevano presso lo scavo portuale sono anche riferibili numerosi ostraka, sui quali sono incisi in greco i conteggi delle derrate vendute da mercanti con nomi in messapico (fig. 2).
In epoca ellenistica, a Torre San Giovanni è anche attestata la presenza di un luogo di culto dedicato ad Artemide, in uso tra la seconda metà del IV e la seconda metà del III sec. a.C., che ha restituito statuette fittili della cd. Artemis Bendis, di produzione tarantina; l’area sacra documenta quindi il ruolo del sito quale “porto franco”, in cui gli scambi tra Greci e Messapi avvenivano sotto la protezione divina. Successivamente, sugli strati di obliterazione del luogo di culto dedicato ad Artemide e databili a un periodo compreso tra la seconda metà del II e la prima metà del I sec. a.C., viene realizzato un impianto per l’allevamento o lavorazione del pesce, in uso nella seconda metà del I sec. a.C. e abbandonato entro la prima metà del I sec. d.C.
Una selezione di corredi della necropoli messa in luce nel 2014-2016 presso la costa (fig. 3), meno di un centinaio di metri a nord-ovest della torre cinquecentesca, è invece esposta nelle sale 11 e 12 e comprende i materiali Tombe 3, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 17, 20, 22, 23 e 29. Lo scavo ha permesso di identificate 15 tombe a fossa terragna, 4 a cista litica, 6 a cassa di lastroni in arenaria e calcare locale e una con cassa completamente realizzata in coppi; queste sepolture accoglievano inumati deposti in posizione supina su piano ottenuto livellando la roccia affiorante.
I corredi permettono di riferire alla seconda metà del IV sec. a.C. la fase di maggiore utilizzo dello spazio funerario, sicuramente collegato alla frequentazione del vicino insediamento, con una ripresa nell’uso della necropoli tra I sec. a.C. e I sec. d.C. Alla fase più antica, che sembra prolungarsi fino al III-II sec. a.C., si riferiscono la maggior parte dei corredi esposti; in questo periodo, l’area funeraria, apparentemente esterna alle fortificazioni dello scalo portuale, poteva essere utilizzata da mercanti tarantini attivi presso Torre San Giovanni, che, come si è visto, in questa fase si configura come un contesto emporico, luogo di incontro tra indigeni e Greci. Tra i corredi di IV-III sec. a.C. spicca, per l’elevato numero di materiali, quello della Tomba 13, una sepoltura a fossa con controfossa coperta da due lastroni; i materiali consentono di attribuirla a un individuo di sesso femminile e comprendono un cratere a campana a figure rosse di piccole dimensioni, di chiaro valore rituale, due coppette monoansate, una oinochoe acroma, una lekythos, una pelike, una piccola lekythos ariballica, una lekane acroma e uno skyphos.
L’utilizzo della necropoli tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale è invece testimoniato solo da quattro sepolture; i corredi di tre di esse, le Tombe 8 (a cassa di coppi), 9 (a cassa litica) e 11 (a fossa terragna), sono esposte nel Museo. La Tomba 8, in particolare, ha restituito un piatto in sigillata italica con bollo in planta pedis, attribuito alle produzioni di Cn. Ateius Plocamus, datate dopo il 30 d.C., una lucerna a becco tondo, uno specchio rettangolare in bronzo e una coppa in vetro con iscrizione in caratteri greci ΕΥΦΡΑΙΝΟΥ ΕΦ᾽Ω ΠΑΡΕΙ (εὐφραίνου ἐφ᾽ ὧ πάρει), traducibile come “rallegrati per ciò a cui sei presente” (fig. 4); quest’ultimo vaso è molto peculiare e appartiene a una tipologia di coppe in vetro con iscrizioni augurali attribuite a officine operanti nel I sec. d.C. nel Mediterraneo orientale, probabilmente a Sidone. A queste sepolture si aggiunge la Tomba 24, che conservava i resti di un’incinerazione, ovvero un ustrinum che tra le lenti di cenere ha restituito un corredo (non esposto nel Museo) composto da tre contenitori ceramici - un piatto in sigillata italica planta pedis parzialmente leggibile A. (?)N(?) (fig. 5), una coppetta a pasta grigia e una lucerna acroma -, a cui si aggiungono una brocchetta monoansata in frammenti e uno strigile in bronzo. Questi corredi confermano l’importanza dello scalo di Torre San Giovanni e la sua rilevante funzione ancora nella prima età imperiale, nell’ambito degli scambi e dei movimenti di genti e di prodotti che hanno caratterizzato le antiche rotte mercantili del Mediterraneo occidentale, dopo un periodo di stasi riferibile alla fine del I sec. a.C., quando sembra che l’attività del porto subisca una brusca interruzione, congiuntamente alla fine della produzione delle sopra menzionate officine anforarie locali.
Infine, l’ultima sessione del Museo dedicata a Torre San Giovanni comprende, come detto, una selezione di materiali databili tra l’epoca ellenistica e quella bizantina, esposti nell’Antiquarium (vetrine 13 e 14) e rinvenuti a largo dello scalo portuale. Tra essi si segnalano due corpi morti litici, una macina e due mortaria di epoca imperiale, anfore da trasporto di varia tipologia (Greco-Italiche, Lamboglia 2, Dressel 1, Dressel 2-4, Almagro 50, Africana I, Keay LII, Late Roman 1) inquadrabili tra III sec. a.C. e VI sec. d.C., oltre a spatheia di VI-VII sec. d.C.
G. Scardozzi