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L’ex Convento dei Frati Minori Osservanti di Santa Maria della Pietà

L’ex Convento dei Frati Minori Osservanti di Santa Maria della Pietà


Il convento di S. Maria della Pietà dei Frati Minori Osservanti, all’interno del quale ha sede il Nuovo Museo Archeologico, rappresenta uno dei principali edifici storici presenti nel cuore della città di Ugento, adattato nel corso del tempo a diverse destinazioni d’uso.

Il convento di S. Maria della Pietà dei Frati Minori Osservanti, all’interno del quale ha sede il Nuovo Museo Archeologico, rappresenta uno dei principali edifici storici presenti nel cuore della città di Ugento, adattato nel corso del tempo a diverse destinazioni d’uso.
Sulla base di una recente rilettura delle fonti storiche, si deve far risalire l’impianto originario del convento agli anni attorno al 1480, quando il conte di Ugento, Aghelberto del Balzo, marito di Maria Conquesta, figlia di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, fece realizzare un luogo di ritiro e preghiera per l’ordine francescano dei Frati Minori Osservanti. L’edificio, intitolato assieme alla chiesa annessa a S. Maria della Pietà, fu realizzato tenendo conto della necessità di ospitare una comunità religiosa piuttosto numerosa. Intorno ai primi decenni del Settecento, con l’incremento del numero dei frati presenti, esso divenne sempre più prestigioso, tanto da essere destinato anche a sede di studio di diverse discipline, tra cui quelle di teologia e filosofia. È nell’ambito di questa fioritura che dopo la metà del Settecento iniziarono i lavori per la ristrutturazione dell’originaria Chiesa di Santa Maria della Pietà, che in questo momento fu intitolata a S. Antonio da Padova. Le modifiche apportate all’edificio sono consistite nella sostituzione del tetto con una nuova copertura a volta, e nella realizzazione, lungo la parete settentrionale della chiesa, di una scalinata di accesso al piano superiore del convento; tale ristrutturazione comportò anche l’erezione di un muro che chiuse completamente, all’interno di una intercapedine, le pareti di fondo delle cappelle affrescate poste lungo il lato della chiesa contiguo al convento (v. infra “Le cappelle murate”). 
Nel corso della prima metà dell’Ottocento, il complesso monastico alternò periodi in cui continuò a essere sede del noviziato ad altri in cui divenne residenza del ministro provinciale (dal 1810 al 1830) e poi sede di studio provinciale per la teologia dogmatica e morale. Successivamente al Regio Decreto del 7 luglio 1866, con la soppressione degli ordini e delle corporazioni religiose, i beni immobili dei conventi soppressi furono devoluti al demanio dello Stato. L’ex convento fu quindi adibito inizialmente a Caserma dei Reali Carabinieri, mentre in seguito i suoi locali furono trasformati in aule scolastiche e uffici del Municipio; la Chiesa di S. Antonio fu invece donata alla Congregazione dell’Addolorata, che la riaprì al culto nel 1891. L’interno della Chiesa così come la si vede oggi è frutto di un restauro completato nel 2000. Nel 1968, il Comune adibì i locali dell’ex convento a sede del “Museo Civico di Archeologia e Paleontologia”, diventato poi nel 2009 “Nuovo Museo Archeologico”. 
Il convento, interessato nel corso del tempo da trasformazioni piuttosto esigue, ha sostanzialmente conservato l’impianto architettonico originario, caratterizzato da un modello abbastanza semplice ed essenziale, con vari ambienti disposti su due piani attorno a un chiostro centrale. Al piano terra vi erano il refettorio, le cucine ed altre piccole aule di servizio che si aprivano sul quadriportico del chiostro, mentre al primo piano le 23 piccole celle di ritiro dei frati e il locale della biblioteca si affacciavano su ampi corridoi. A partire dal 2005 l’edificio è stato interessato da importanti lavori di restauro finalizzati ad adeguare i locali alla nuova struttura museale. Nel corso di queste attività sono riemersi interessanti affreschi più o meno integri e anche tracce di disegni preparatori, la cui scoperta ha consentito di avere un’idea dell’originaria decorazione pittorica dell’edificio sino ad allora quasi completamente sconosciuta. Nelle tre lunette poste lungo la parete occidentale del quadriportico sono riaffiorati affreschi che raffigurano episodi della vita di Sant’Antonio da Padova e che infatti sono stati realizzati nella seconda metà del Settecento, successivamente alle operazioni di ristrutturazione della Chiesa di S. Maria della Pietà, che all’epoca venne intitolata al Santo. Nella prima lunetta vi è rappresentata la visita al tiranno Ezzelino da Romano, al di sotto della quale si trova l’iscrizione “Saverio Pisanello - per sua devozione - 1775” (fig. 1); nella seconda lunetta figura invece il miracolo della mula genuflessa davanti all’ostia consacrata (fig. 2), mentre nell’affresco della terza lunetta, meno integro rispetto agli altri, era probabilmente raffigurata un’altra scena della vita del Santo.
Sempre al piano terra, le pareti della grande aula del refettorio che si apre sul lato orientale del quadriportico si presentano decorate per un’altezza totale di circa due metri con un ciclo pittorico monocromatico, caratterizzato da un colore nero su intonaco grigio (e solo qualche particolare colorato), probabilmente risalente agli ultimi decenni del Cinquecento (figg. 3-4). La parte superiore ritrae scene della Genesi come la Separazione delle tenebre, la Creazione di Adamo ed Eva, il Peccato Originale, la Cacciata dal Paradiso, Adamo al lavoro, la Costruzione dell’arca, il Diluvio Universale e il Sacrificio di Noè; la parte inferiore è invece caratterizzata da una decorazione continua a racemi, girali e figure allegoriche. Nella parete sud-orientale campeggia invece un maestoso affresco settecentesco che oblitera quasi completamente la decorazione cinquecentesca e che raffigura l’Ultima Cena (fig. 5), con, nella parte superiore, un ovale che ritrae l’Immacolata. 
Al primo piano, gli affreschi che decorano il locale della biblioteca, posto sull’angolo sud-occidentale (sala 15) risalgono agli inizi del XVIII sec. Sul soffitto di quest’ambiente, domina il grande stemma del vescovo Lazaro y Terrez, sostenuto da piccoli putti, soggetti, questi, che si ritrovano ai lati delle lunette (fig. 6), all’interno delle quali campeggiano le raffigurazioni dell’Immacolata e dei santi dell’ordine francescano (tra i quali si riconoscono S. Bonaventura, S. Francesco d’Assisi, S. Antonio da Padova, S. Bernardino da Siena, S. Pietro d’Alcantara, S. Giovanni da Capestrano, S. Ludovico da Tolosa, S. Chiara e S. Elisabetta d’Ungheria). La resa iconografica del ciclo pittorico emerso dal lungo intervento di restauro conferma l’utilizzo dei canoni francescani tra le maestranze locali, capaci di una suggestiva rielaborazione popolare e devozionale.
In una delle celle del piano superiore che si affacciano sul lato orientale del chiostro (sala 11), la messa in luce del primitivo intonaco che ricopriva le strutture murarie delle pareti laterali ha inoltre rivelato la presenza di alcuni disegni, in parte solo abbozzati e in parte più completi e parzialmente colorati (fig. 7). Essi raffigurano diverse scene con figure maschili e femminili rappresentate sia senza vesti che in abiti tipicamente cinquecenteschi con sullo sfondo paesaggi naturali in cui si distinguono alcuni edifici, tra cui un castello e un palazzo. L’insieme delle raffigurazioni rimanda probabilmente alle vicende caratterizzanti poemi epici-cavallereschi ed è possibile che la loro paternità sia da attribuire a un ospite stabile del convento, il quale forse conosceva questo genere di opere letterarie, piuttosto che all’iniziativa di un frate. Sul muro di fondo della cella campeggiano invece, sotto forma di sinopia, il “fonte della vita” con vasche circolari (fig. 8) e al di sopra la scena del peccato originale con la rappresentazione dell’albero, del serpente e di Adamo ed Eva (fig. 9). 

I. Miccoli