Lo Zeus bronzeo
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Lo Zeus bronzeo
Lo Zeus di Ugento è la celebre statua bronzea scoperta casualmente nel 1961, durante lavori edili, presso un’abitazione privata in via Fabio Pittore, poco a nord dell’attuale centro storico.
Lo Zeus bronzeo
Lo Zeus di Ugento è la celebre statua bronzea scoperta casualmente nel 1961, durante lavori edili, presso un’abitazione privata in via Fabio Pittore, poco a nord dell’attuale centro storico. L’episodio fu memorabile e suscitò enorme stupore tra gli operai che portarono alla luce con grande apprensione “il pupo”, nome che fu dato alla statua da Sofia Nicolazzo Codacci Pisanelli, allora Ispettrice Onoraria della Soprintendenza alle Antichità e presidente della Pro-Loco di Ugento, la quale ne riconobbe subito il grande valore storico-artistico e la custodì nella propria casa nei giorni immediatamente successivi alla scoperta. In seguito, il Soprintendente alle Antichità della Puglia e del Materano, Nevio Degrassi, fece trasferire la statua a Roma presso l’Istituto Centrale per il Restauro.
La statua, alta 74 cm e realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, fu rinvenuta sul fondo di una fossa naturale, coperta con il capitello in pietra calcarea che ne costituiva il sostegno (fig. 1); vi era stata collocata anticamente, dopo lo smantellamento dell’area sacra che l’ospitava. Originariamente essa era posta su una colonna alta ca. 1,60 m, forse innalzata all’interno di un recinto sacro come simulacro del dio messapico Zis, lo Zeus dei Greci; non si conosce l’ubicazione esatta di quest’area sacra, probabilmente non molto distante dal luogo del rinvenimento, dove si può immaginare che si svolgevano sacrifici e libagioni invocando la protezione del dio con l’esclamazione messapica Klaohi Zis (Ascolta o Dio!). L’occultamento volontario della statua può forse collocarsi nella prima metà del V sec. a.C., durante la guerra tra Messapi e Tarantini, quando sappiamo dalle fonti letterarie che i capi locali cacciarono le immagini delle divinità di origine ellenica fuori dai templi.
La divinità è rappresentata nuda, mentre avanza, con la mano destra protesa in avanti a reggere forse un’aquila e la sinistra levata sopra il capo a brandire un fulmine. I due attributi, caratteristici del padre degli dèi, sono poco riconoscibili, perché quasi completamente persi al momento della scoperta. La presenza del fulmine ha fatto ipotizzare che la statua rappresenti Zeus Kataibàtes, il dio saettante protettore degli Iapigi il quale discende dal cielo impugnando la folgore e gli altri simboli del suo potere. Il capo è decorato da una corona a foglie stilizzate di alloro e, inferiormente, da un nastro su cui sono applicate rosette a rilievo. Molto particolare è l’acconciatura del dio, con una serie di riccioli spiraliformi che incorniciano la fronte e da lunghe ciocche ondulate che scendono sulle spalle. La resa dei capelli, della barba e dei particolari anatomici, caratterizzati da una muscolatura contratta e possente, rimanda ai canoni greci della scultura di età tardo-arcaica. L’insieme era anche ravvivato dalla policromia degli occhi, originariamente resi in pasta vitrea, avorio oppure osso. Il capitello su cui poggiava lo Zeus è costituito da un unico blocco in pietra leccese, che comprende un echino molto schiacciato e un abaco decorato con quattro rosette a rilievo per lato, decorazione tipica dell’ambiente messapico; sulla faccia superiore si notano alcuni piccoli fori, in cui erano inseriti chiodi per appendere ghirlande o bende votive.
L’autore della statua, il cosiddetto “maestro dello Zeus”, va identificato in un artista greco di Taranto, chiamato a Ugento dalle aristocrazie locali per realizzare l’opera, di particolare rilievo artistico, tra il 530 e il 500 a.C. Si tratta pertanto di un eccezionale esempio della scultura bronzea tarantina, per il resto in gran parte perduta a causa del saccheggio di Taranto operato dai Romani dopo la conquista della città.
Attualmente la statua è esposta al Museo Archeologico Nazionale di Taranto, mentre nel Museo Archeologico di Ugento è presente una copia, sempre in bronzo, opera dell’artista turco Murat Cura.
I. Miccoli