La cinta muraria messapica
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La cinta muraria messapica
La cinta muraria di Ugento risale al periodo di massima estensione del centro messapico, intorno alla metà del IV sec. a.C. La sua costruzione avviene in un momento storico di grande instabilità e conflitto tra i Messapi e Tarantini
La cinta muraria di Ugento risale al periodo di massima estensione del centro messapico, intorno alla metà del IV sec. a.C. La sua costruzione avviene in un momento storico di grande instabilità e conflitto tra i Messapi e Tarantini, anche se in un primo momento le mura rispondo principalmente alla volontà dell’aristocrazia cittadina di definire il perimetro urbano e segnare la distinzione con la campagna circostante; in seguito, gli eventi militari che caratterizzano soprattutto il III sec. a.C., con l’espansione di Roma che arriva a interessare anche la Messapia, accentuano la funzione difensiva della cinta muraria. Essa quindi, almeno in alcuni punti, dopo la sua costruzione fu ulteriormente fortifica tra la seconda metà del IV e il III sec. a.C.; le mura, poi, ebbero un ruolo importante nella difesa dell’abitato durante la seconda guerra punica, quando gli Uzentini, come ricordato da Tito Livio (XXII, 61, 11-12), si unirono ad Annibale contro Roma. Successivamente alla conquista romana, a partire dal II sec. a.C. vennero progressivamente demolite e trasformate in una cava di materiale edilizio.
La cinta muraria racchiudeva la collina su cui si estende Ugento e parte delle aree pianeggianti poste alle sue pendici nord-orientali, sud-orientali e sud-occidentali, delimitando una superficie totale di ben 145 ettari, che fanno di questo centro il più esteso tra le città della Messapia (fig. 1). La vasta area delimitata dalle mura non era però completamente edificata, ma comprendeva, secondo un modello insediativo già definito in epoca arcaica in tutta la Messapia, nuclei di abitato, aree sacre, settori destinati alle attività produttive e zone libere da strutture, utilizzate come orti e giardini oppure occupate da recinti per animali, depositi di acqua, che sfruttavano in parte depressioni naturali, e anche aree funerarie, organizzate prevalentemente nelle zone più periferiche, spesso in prossimità delle strade che attraversavano le mura, sia all’interno che all’esterno di esse.
Di questo imponente circuito murario, lungo circa 4.900 m, oggi si conserva all’incirca metà del perimetro, soprattutto nei settori nord, est e sud-ovest del tracciato, in aree non raggiunte o toccate solo parzialmente dalla forte espansione edilizia che ha interessato Ugento a partire dalla metà del Novecento. La cinta muraria è stata oggetto di vari studi a partire dagli anni Settanta del XX sec. basati essenzialmente sull’analisi dei tratti conservati, sullo studio delle fotografie aeree storiche per l’individuazione dei tratti distrutti ma ancora conservati nella prima metà del Novecento e su prospezioni geofisiche per la documentazione di tratti interrati oppure obliterati da aree urbanizzate. Molto importante, ai fini della definizione del tracciato e dell’ubicazione delle porte che vi si aprivano, è anche lo studio della cartografia storica, costituita dalla veduta prospettica pubblicata nel 1703 da Giovan Battista Pacichelli e, soprattutto, dalle planimetrie disegnate nel 1810 dall’architetto Angelo Palazzi (fig. 2) e nel 1889 e 1897 dall’ingegnere Giuseppe Epstein, che ne documentano l’intero tracciato, evidenziando i numerosi resti ancora conservati e i tratti che già all’epoca erano solo ipotizzabili. Molto limitati (per numero ed estensione dei settori indagati) sono invece i tratti murari interessati da scavi archeologici, per lo più costituiti da interventi occasionali condotti in situazioni di emergenza o preventivamente a interventi di edilizia privata o di infrastrutture pubbliche; soltanto recentemente è stato avviato un progetto di ricerca finalizzato allo studio sistematico, mediante saggi di scavo più o meno estesi, delle caratteristiche costruttive della cinta muraria, della sua fasi di edificazione e delle strategie di approvvigionamento dei materiali lapidei utilizzati per la sua realizzazione, oltre che volto alla valorizzazione dei tratti ancora conservati nell’ambito di un Parco delle Mura Messapiche di Ugento.
Solo in alcuni punti e per brevi segmenti le mura messapiche sono ancora in vista, inglobate in muri a secco successivi o messe in luce dagli scavi archeologici: nelle località Porchiano (fig. 3) e Sant’Antonio, rispettivamente sul lato settentrionale e su quello nord-orientale del tracciato (fig. 1, A-B, lungo le vie Mura Ugentine, San Francesco (fig. 4) e Bolzano, tutte nel settore sud-occidentale del circuito (fig. 1, C-E), e lungo via Tasso (fig. 5), nella sua porzione nord-occidentale (fig. 1, F). Il resto è per lo più interrato, inglobato in muri di confine, coperto da cumuli di pietrame oppure obliterato da strade ed edifici moderni che utilizzano i resti delle mura come fondazione. Molti tratti sono stati invece distrutti già nel corso dell’Ottocento e ai primi del Novecento e poi, soprattutto nel secondo dopoguerra, fino agli interventi di salvaguardia previsti già nel Piano Regolatore Generale del Comune di Ugento approvato nel 1982, ulteriormente rafforzati nel 2005 con un vincolo urbanistico di inedificabilità a tutela dei tratti murari conservati, adottato dal Consiglio Comunale e poi recepito nel Piano Paesaggistico Territoriale Regionale della Puglia; per queste ragioni, come si è già accennato, nel corso degli studi si sono rilevate particolarmente utili le planimetrie di Ugento disegnate nel corso dell’Ottocento e le fotografie aeree scattate tra gli anni Quaranta e Sessanta del ’900, prima della forte espansione urbana della cittadina moderna.
Le mura erano generalmente costituite da una struttura con due cortine murarie in opera quadrata, realizzate con grandi blocchi parallelepipedi di calcarenite messi in opera a secco (alcuni esempi sono esposti nella sala 5 al primo piano del Museo), che contengono un riempimento di pietre e terra (emplekton); lungo il tracciato lo spessore accertato dagli scavi varia da 6,50 a 7,80 m. Fa eccezione un segmento lungo circa 17,50 m messo in luce nella già ricordata località Sant’Antonio nel 1986-1987 dalla Soprintendenza Archeologica, realizzato invece a struttura piena, con blocchi in tutto lo spessore, che arriva fino 6 m. Le porte che vi si aprivano, almeno in alcuni casi protette da torri quadrate e tratti con andamento a baionetta, dovevano essere almeno 11, in corrispondenza di altrettante strade che le attraversavano.
Nel tratto di 70 m scavato in via Tasso nel 2016-2018 sempre dalla Soprintendenza Archeologica è stato possibile identificare, per la prima volta, due fasi costruttive. La prima, riferita alla metà del IV sec. a.C., consiste in due file di blocchi disposti per lungo a contenere l’emplekton, mentre la seconda è invece costituita da una fodera esterna di blocchi messi in opera in maniera molto accurata in filari alternatamente disposti di testa e per lungo, che fu aggiunta per rafforzare la struttura preesistente, forse nella seconda metà del IV o agli inizi del III sec. a.C. (fig. 6). Recentissimi (2024) scavi, ancora in corso, condotti dall’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del CNR in collaborazione con il Comune di Ugento, tra via San Francesco e via Bolzano, hanno invece permesso di indagare le modalità di fortificazione di un tratto angolare, dove si è evidenziato che la cortina esterna era rafforzata da una sorta di bastione caratterizzato anche in questo caso da due fasi costruttive.
Il circuito murario era inoltre ulteriormente rafforzato dalla presenza di un fossato esterno, poco profondo e largo quasi 3 m, di cui nel 2021 è stato messo in luce un tratto dalla Soprintendenza Archeologica in località Santisorgi-Aia (fig. 7). Questo fossato, oltre a ostacolare l’avvicinamento di macchine di assedio alle fortificazioni, era anche utilizzato per l’estrazione di blocchi destinati alle mura stesse. La maggior parte di questi veniva invece estratto dalle cave poste subito a nord della città messapica, nelle odierne località Sant’Antonio, Crocefisso e Cupelle, dove sono ancora visibili ampi fronti antichi con segni dell’estrazione di grandi blocchi di calcarenite.
G. Scardozzi